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domenica 2 giugno 2013

Precipitare.



Tutto ebbe inizio il 9 maggio 2011, da una chiamata: “Nonna è stata ricoverata qualche ora e dimessa perché ha forti mal di testa e dolori atroci al braccio, le hanno dato delle medicine, però è meglio se non la chiami altrimenti l’emicrania peggiora”.
Iniziarono le preoccupazioni, io ero a oltre 700 kilometri da lei, una delle persone più importanti della mia vita, una persona che mi aveva insegnato il vero significato della vita, una persona che mi aveva donato un affetto infinito, una persona che anche se lontana fisicamente era sempre presente, una persona di cui dovevo prendermi cura dopo la morte di nonno, lo sentivo come un mio dovere, e in quel momento in cui lei stava male io non potevo far niente.
L’indomani, tornato a casa da scuola mia madre mi disse che la situazione stava degenerando, era stata ricoverata nuovamente d’urgenza ma non riuscivano a capire cosa stesse succedendo.
Quella notizia fu un pugno nello stomaco, una coltellata al cuore, senza preavviso.
Mi veniva impedito anche solo di telefonarle per dirle che le volevo bene o per sapere come stesse… mi stavano distruggendo.
La sera arrivò la notizia che si era aggravata molto e che era stata trasferita in terapia intensiva, ancora i medici non capivano cosa le stesse succedendo, dagli esami sembrava tutto apposto, ma evidentemente non era così; allora preparammo veloci le valige e ci incamminammo con la macchina in autostrada, ci aspettavano oltre sette ore di viaggio.
Naturalmente c’era un continuo contatto con i miei zii che erano lì, i medici nel giro di qualche ora vagliarono diverse ipotesi: shock anafilattico causato dalla puntura di un insetto, morso di una vipera… la cosa peggiore poi che un batterio la stava divorando dall’interno.
Non dormii quella notte, pregai solo che si rimettesse in sesto, speravo che quello che stava succedendo fosse solo uno dei numerosi incubi che da sempre mi assillano, ma purtroppo non lo era, mi stavo scontrando con una delle realtà più dure da affrontare, mi stavo scontrando con la morte.
La mattina, arrivati a casa, arrivò la chiamata di mio zio: sarebbe passato dopo pochi minuti per correre in ospedale perché la situazione si era aggravata notevolmente.
Tornati a casa, i miei genitori mi dissero che nella notte mia nonna era stata intubata perché non riusciva più a respirare autonomamente…  in quel momento iniziai a perdere tutte le mie speranze.
Un’altra telefonata improvvisa. La corsa in ospedale…
Per ore non seppi niente, poi tornarono a casa, io già immaginavo cosa fosse successo, scoppiai in lacrime, i miei genitori iniziarono a parlare di autopsia, medici legali…
Dopo due giorni dal decesso ci fu l’autopsia, finalmente il sabato avremmo potuto riaverla e farle i funerali.
Quel giorno è stato uno dei più duri nella mia vita, sentire il tonfo della cassa nella fossa è stato qualcosa di orribile, per non parlare di quando hanno iniziato a gettar la terra.
Insieme al corpo di mia nonna quel giorno, seppellirono anche la mia anima, la mia infanzia, la mia gioia, i miei ricordi… precipitai nel più profondo abisso dell’inferno…
Ho passato circa un anno in cui ho sofferto di una forte depressione; i miei genitori non se ne sono neanche accorti, sono stato bravo a nasconderla, ma i miei amici più stretti sapevano tutto, eppure non erano in grado di aiutarmi, era una situazione difficile, poterono solo starmi vicini.
Sono passati più di due anni da quel maledetto giorno, il sorriso è tornato sulla mia bocca, la depressione è sparita, ma basta guardarmi profondamente negli occhi per vedere la malinconia, il dolore, la morte che mi colpisce in ogni attimo in cui ritornano nella mia mente quei ricordi, come fotografie, impresse per sempre, negli album della memoria.
-Carlo Bisecco


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