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Iniziarono le preoccupazioni, io ero a oltre 700 kilometri
da lei, una delle persone più importanti della mia vita, una persona che mi
aveva insegnato il vero significato della vita, una persona che mi aveva donato
un affetto infinito, una persona che anche se lontana fisicamente era sempre
presente, una persona di cui dovevo prendermi cura dopo la morte di nonno, lo
sentivo come un mio dovere, e in quel momento in cui lei stava male io non
potevo far niente.
L’indomani, tornato a casa da scuola mia madre mi disse che
la situazione stava degenerando, era stata ricoverata nuovamente d’urgenza ma
non riuscivano a capire cosa stesse succedendo.
Quella notizia fu un pugno nello stomaco, una coltellata al
cuore, senza preavviso.
Mi veniva impedito anche solo di telefonarle per dirle che
le volevo bene o per sapere come stesse… mi stavano distruggendo.
La sera arrivò la notizia che si era aggravata molto e che
era stata trasferita in terapia intensiva, ancora i medici non capivano cosa le
stesse succedendo, dagli esami sembrava tutto apposto, ma evidentemente non era
così; allora preparammo veloci le valige e ci incamminammo con la macchina in
autostrada, ci aspettavano oltre sette ore di viaggio.
Naturalmente c’era un continuo contatto con i miei zii che
erano lì, i medici nel giro di qualche ora vagliarono diverse ipotesi: shock
anafilattico causato dalla puntura di un insetto, morso di una vipera… la cosa
peggiore poi che un batterio la stava divorando dall’interno.
Non dormii quella notte, pregai solo che si rimettesse in
sesto, speravo che quello che stava succedendo fosse solo uno dei numerosi
incubi che da sempre mi assillano, ma purtroppo non lo era, mi stavo scontrando
con una delle realtà più dure da affrontare, mi stavo scontrando con la morte.
La mattina, arrivati a casa, arrivò la chiamata di mio zio:
sarebbe passato dopo pochi minuti per correre in ospedale perché la situazione
si era aggravata notevolmente.
Tornati a casa, i miei genitori mi dissero che nella notte
mia nonna era stata intubata perché non riusciva più a respirare
autonomamente… in quel momento iniziai a
perdere tutte le mie speranze.
Un’altra telefonata improvvisa. La corsa in ospedale…
Per ore non seppi niente, poi tornarono a casa, io già
immaginavo cosa fosse successo, scoppiai in lacrime, i miei genitori iniziarono
a parlare di autopsia, medici legali…
Dopo due giorni dal decesso ci fu l’autopsia, finalmente il
sabato avremmo potuto riaverla e farle i funerali.
Quel giorno è stato uno dei più duri nella mia vita, sentire
il tonfo della cassa nella fossa è stato qualcosa di orribile, per non parlare
di quando hanno iniziato a gettar la terra.
Insieme al corpo di mia nonna quel giorno, seppellirono
anche la mia anima, la mia infanzia, la mia gioia, i miei ricordi… precipitai
nel più profondo abisso dell’inferno…
Ho passato circa un anno in cui ho sofferto di una forte
depressione; i miei genitori non se ne sono neanche accorti, sono stato bravo a
nasconderla, ma i miei amici più stretti sapevano tutto, eppure non erano in
grado di aiutarmi, era una situazione difficile, poterono solo starmi vicini.
Sono passati più di due anni da quel maledetto giorno, il
sorriso è tornato sulla mia bocca, la depressione è sparita, ma basta guardarmi
profondamente negli occhi per vedere la malinconia, il dolore, la morte che mi
colpisce in ogni attimo in cui ritornano nella mia mente quei ricordi, come
fotografie, impresse per sempre, negli album della memoria.
-Carlo Bisecco
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