Caro diario,
sapessi
quanti pensieri mi ronzano per la testa, sapessi quante emozioni spesso
in contrasto mi affliggono, rendendomi la vita così instabile.
Con
la persona a cui tenevo e ancora tengo di più sta andando tutto a
rotoli, non so più neanche se posso considerarla un’amica, e poi anche
gli altri mi stanno lasciando, non so cosa sta succedendo, so solo che
anche io vorrei abbandonare me stesso, fuggire da ciò che sono.
Domani parto, e per due mesi non vedrò più queste persone a cui sono così legato ma che mi fanno anche soffrire molto.
Vorrei
non sentirli neanche durante queste vacanze, voglio isolarmi, voglio
poter riflettere e capire cosa è giusto fare, voglio capire se mettere
un punto al posto di tutte queste virgole o punti e virgola messi in un
lungo elenco di delusioni.
Adesso
spero di riuscire a farmi compagnia con me stesso, spero di riuscire a
non sentirmi solo, spero di riuscire a eliminare questo desiderio di
fuggire da tutto e da tutti, soprattutto da me stesso.
Carlo
Sono disperso in pensieri infiniti, infiniti come quella distesa di mare in cui sono naufragato.
venerdì 28 giugno 2013
giovedì 27 giugno 2013
martedì 25 giugno 2013
La panchina
Era una mattina di primavera, anche se il tempo grigio, ricordava qualcosa di autunnale. Complice il freddo mattutino che ancora faticava a staccarsi dalla notte, le acque del fiume lentamente dondolanti, come scosse dal vento. Le foglie, confuse con qualche cartaccia. E c'era la tranquillita' della citta' ancora dormiente, le luci flebili del giorno in arrivo. Il silenzio, rotto a malpena dai tui passi quando oramai eri vicino. Ti sedetti quasi sul bordo della panchina, il tuo cane annusava il territorio attorno a noi. Sapevo che avevi gli occhi lucidi. E io egoisticamente non ti guardavo apposta, volevo sorridere immersa nei pensieri e inquell'attimo mio, ancora per un po'. Fu il nostro primo silenzio insieme.
-MONY MONICA
"Che razza è?" Sapevo bene di quale razza fosse quel cane, ma era una buona scusa per attaccar bottone. "E' un setter inglese. Si chiama Matilda, come la protagonista del libro di Roald Dahl". Finalmente avevamo iniziato a parlare. La sua voce era forte ma lasciava trapelare un filo di insicurezza, forse la timidezza. "Oh, è stato uno dei miei libri preferiti quando ero piccola, chiamai la mia gattina Matilda!Comunque piacere, io sono Marika". Non so se fu solo una mia impressione ma mi sembrò che gli luccicarono gli occhi. "Piacere mio, Antonio. Che bel nome Marika!". "Grazie" sussurrai timidamente, mi sentii arrossire, spero non sia successo. "Ti ho già vista altre volte sempre seduta su questa panchina, a quest'ora. Cosa ci fai tutta sola così presto in un posto sperduto?" finalmente aveva iniziato la conversazione. "Sì anche io ti ho già visto, io vengo qui perchè è un luogo che mi ricorda la mia infanzia, specialmente le mie vacanze in montagna dai nonni. Vengo così presto perchè sono abbastanza mattiniera, mi piace vedere il sole ancora basso all'orizzonte, di solito leggo." Risposi facendo un salto nel passato, felice che mi avesse notato e che si ricordasse di me.
"hai detto che ti piace leggere?" "Sì, mi piace molto, i libri sono i miei più grandi compagni di vita". Oddio ora mi avrebbe preso per una stupida asociale che passa tutto il tempo a leggere! "E' la verità, i libri sono capaci di confortarti meglio di come saprebbe fare un amico". Ok sapevo che non mi aveva presa per un'ossessionata. "Ti piacerebbe leggere qualcosa di mio?" così interruppe i miei pensieri. "In che senso? Sei uno scrittore?" "Scrittore, diciamo che più che altro ci provo, ma non ho ancora pubblicato". Ora capivo cosa mi affascinava di lui, era quell'aria spensierata ma quasi misteriosa che hanno gli scrittori. "Certo mi piacerebbe molto!" "Bene, allora a domani, ci ritroviamo sempre qui alla stessa ora come sempre no?" "Qui come sempre". Non si sarebbe potuto definire un vero e proprio appuntamento ma per me lo era. La mattina seguente prima di uscire feci una doccia e mi sistemai nel modo migliore, misi anche un tocco di rossetto, cosa che non facevo mai; uscii e mi incamminai piena di felicità. Quando arrivai lì lui era già seduto sulla panchina e stava leggendo dei fogli, aveva dei grandi occhiali che gli contornavano gli occhi neri. "Buongiorno" dissi avvicinandomi. " Oh buongiorno, scusa se non mi ero accorto del tuo arrivo, stavo rileggendo qualcosa intanto che aspettavo" "Tranquillo, anzi scusami te se ti ho fatto aspettare" "Nessun problema, non sei in ritardo, sono io che sono arrivato in anticipo perchè avevo voglia di rivederti"
Da quel giorno i due si diedero appuntamento quotidianamente, si incontravano alla stessa ora, si sedevano sempre sulla stessa panchina e parlavano un po' di tutto, di libri, di animali, della vita e della loro storia.
Un giorno poi, finalmente, Antonio chiese a Marika se le andava di andarsi a mangiare una pizza insieme; naturalmente Marika, che non aspettava altro, confermò immediatamente l'appuntamento ma cercando di nascondere il più possibile la sua gioia e la sua emozione.
Qualche sera dopo si ritrovarono. Il locale dove l'aveva portata era davvero carino, era tranquillo, immerso dalla natura e ricco di quadri e fotografie, qualcosa che la ragazza ammirava molto.
Le regalò un tulipano bianco, lei non ne sapeva il vero significato, ma lo apprezzò molto, i tulipani erano i fiori preferiti della madre e era praticamente cresciuta tra quei fiori.
Fu una serata strepitosa nella sua semplicità, parlarono, mangiarono, ma rimasero anche molto in silenzio guardandosi negli occhi. Ognuno dei due in quelli dell'altro vedeva un'esplosione di sentimenti, di emozioni, di sensazioni, in quegli occhi poteva vedere la vita, poteva ammirare la nascita di un amore.
Tornata a casa Marika si buttò sul letto felice come non mai, continuando ad annusare il profumo di quel dono che Antonio le aveva fatto. Più tardi si ricordò di avere un libro sui fiori, così andò alla ricerca del tulipano, diceva che è simbolo di amore puro...
I due continuarono a vedersi tutte le mattine, quella panchina era diventata il loro nido d'amore, ma un amore che non decollava. Nessuno dei due aveva il coraggio di dichiararsi, ma si leggeva nei loro occhi che la loro non era semplice amicizia.
Intanto Antonio stava lavorando a un nuovo romanzo, "Parla di una storia d'amore" era tutto ciò che aveva svelato a Marika, non le aveva detto che era ispirata alla loro situazione.
Ci lavorò a lungo, soprattutto di notte quando pensando a quei capelli, a quegli occhi, a quelle labbra, non riusciva a prendere sonno. Nel giro di pochi mesi l'aveva terminato e ricontrollato. Restava solo da inviarlo ad un editore. Scelse accuratamente la casa editrice con cui tentare e quasi senza speranze lo spedì. Passavano i giorni, passavano le settimane, ma la risposta ancora non arrivava.
Una mattina, mentre era sulla panchina con Marika, gli squillò il cellulare antiquato. Preoccupato, visto che era l'alba e che di solito non riceveva molte chiamate, rispose."Sì, sì, ok, va benissimo, a dopo, grazie mille, grazie!"
"Cos'è successo?" domandò Marika. "Hanno accettato il mio romanzo, l'editore vuole vedermi per il contratto, mi ha detto che ha passato la notte a leggerlo perchè non riusciva a staccarsene, ecco perchè ha chiamato a quest'ora!" rispose straripante di felicità Antonio.
"Ti amo, scusami ma dovevo dirtelo, perchè ti amo troppo, perchè ti amo dal primo giorno, perchè ti amo da VIVERE" esplose poco dopo il ragazzo. "Anche io, stavo aspettando questo momento da non sai quanto" sussurrò timidamente la donna prima di abbandonarsi in un passionale bacio.
Pochi giorni dopo il romanzo fu messo in stampa e Antonio dovette far leggere la bozza a Marika che continuava a torturarlo. La mattina dopo, sempre nella stessa zona di bosco, vicino alla panchina leggermente arrugginita, mentre il giovane aspettava la fidanzata seduto, ella arrivò in lacrime: "Ma il romanzo che hai scritto è la nostra storia, solo il finale è inventato!" ansimò. "Ti sbagli amore, non è inventato, mi vuoi sposare?" Antonio era in ginocchio davanti a lei su le prime foglie secche che stavano iniziando a posarsi per terra.
"Oddio Antonio, Oh mio Dio! Certo che ti voglio sposare, Non posso crederci, io ti amo così tanto, è un sogno, ti prego sposiamoci al più presto, ci saremo solo noi due e qualche parente stretto, nessun altro"
Neanche una settimana dopo, quella zona sperduta in quel boschetto, vicino ad una vecchia panchina di ferro, leggermente arrugginita, si svolgeva un matrimonio, quello tra uno scrittore e una sognatrice, quello tra due sognatori, il cui sogno comune, quello di sposarsi, si stava avverando proprio in quegli attimi.
CARLO BISECCO (Naufrago in quel maledetto mare di pensieri)
lunedì 24 giugno 2013
venerdì 21 giugno 2013
Un ragazzo
Era un ragazzo a cui piaceva fissare la luna nelle limpide
notti di primavera. Un ragazzo che adorava perdersi tra le innumerevoli stelle
che adornavano una parete scura con linee immaginarie capaci di creare
qualsiasi immagine. Era un ragazzo silenzioso, un ragazzo a cui non piaceva
parlare di sé, ma che se trovava la persona giusta le raccontava ogni cosa fin
nel più minimo dettaglio. Era un ragazzo che aveva un’immensa voglia d’amare. Ma
ciò non gli era permesso. Per chissà quale motivo nessuno sembrava capace di
donargli amore. Nessuno voleva il suo amore. Tutto ciò allargò i silenzi del
ragazzo, le catene che lo tenevano stretto si attorcigliavano sempre più. Poi
un giorno, casualmente, o forse grazie al destino, scoprì una grande passione,
la scrittura, l’unica cosa capace realmente di colmare il vuoto che le persone
e l’affetto negato avevano portato nella sua vita. Scrivere. Eppure l’aveva
sempre trovata un’azione noiosa, qualcosa che fanno solo i vecchi o i depressi.
Non sapeva che scrivere sarebbe diventata la sua vita.
-Carlo Bisecco
Quel viaggio maledetto
Riuscì a percorrere solo pochi metri prima che un proiettile forasse la
ruota posteriore. In preda allo spavento -era la prima volta che temeva
per la sua vita- abbandonò il suo Hummer e iniziò a correre, si
intrufolò in un vicolo stretto e buio dove si affacciavano alcuni
portoni, provò a bussare ma nessuno gli aprì. Continuò la sua corsa
braccato dai quei cani rabbiosi che continuavano a sparare mancando il
bersaglio. Finalmente arrivò su una strada principale, a pochi metri
c'era un locale notturno. Corse lì e chiese di andare in bagno. Non ne
aveva bisogno, era solo per nascondersi procurandosi tempo per
riflettere. Capì che tra non molto sarebbe stato raggiunto da quegli
uomini che avrebbero chiesto informazioni al barista che avrebbe
indicato loro dove si era nascosto. Notò che c'era una finestrella, era
abbastanza stretta e alta. Sarebbe riuscito a scappare da lì? Ci provò:
scardinò la finestra, non ci passava, era troppo stretta, ci sarebbero
bastati altri trenta centimetri e sarebbe stato liberò. Prese uno
sgabello che c'era lì dentro e iniziò a colpire quella parete resa
fragile a causa del marciume e delle numerose crepe già presenti. Dopo
alcuni minuti riuscì ad allargare il varco della finestra. Uscì. Si
ritrovò in un parcheggiò dove erano depositate alcune auto. Si avvicinò a
quella più veloce, ruppe il vetro e dopo vari tentativi riuscì ad
accenderla e cominciò a scappare nuovamente.
Carlo Bisecco
Carlo Bisecco
Quel viaggio maledetto
Intorno alle 11 della stessa sera si recò nel luogo prestabilito,
parcheggiò e rimase in attesa. Di lì a poco iniziarono a vedersi dal
fondo della strada alcune sagome. Passarono sotto un lampione che
emanava una luce tremolante poco prima di fulminarsi. Riuscì a vederli:
erano quattro ragazzi, avranno avuto al massimo 25 anni, abiti larghi,
sporchi e logori. Ce ne era uno, il più bassino che sembrava fosse il
capo clan: pelle olivastra, pizzetto, un cappellino con visiera portato
di lato, pantaloni scalati, una catena a mo' di cintura. Si fecero
avanti, superarono l' Hummer e si fermarono. Da un vicolo laterale stava
giungendo un altro clan, questi erano di più, saranno stati una decina,
stesse espressioni minacciose. L'uomo, ancora nell'auto, evidentemente
non era stato notato, e aveva capito che sarebbe stato meglio per lui
che quelli continuassero a ignorarlo. I due capo clan si avvicinarono,
dissero qualcosa che Richard non riuscì a capire a causa della
lontananza. Rimase nel buio attendendo lo scontro. Dopo attimi di
incertezza notò che i due gruppi si stavano avvicinando alla sua auto.
Cercò di nascondersi dietro il volante. Il leader bassino a quel punto
avvicinò la mano ai calzoni e lentamente estrasse qualcosa: una pistola
calibro 22. Spaventato, Richard accese il motore e pigiò con tutta la
forza l'accelleratore....
Carlo Bisecco
Carlo Bisecco
Quel viaggio maledetto
Questo sarà un viaggio tranquillo, o almeno spero.
ho passato dieci ore in macchina, dieci ore cullato dall'aria condizionata, senza trovare traffico.
Adoro la città, adoro questo stato, adoro loro cultura. Il Texas. Un posto magnifico, dove poter girare con l'Hummer senza aver paura di bloccarsi dentro vicoli stretti, dove la gente é cordiale ed amabile....
-No!
Tuonò Richard, guardando Jack, il suo Bagle, mentre stracciava la carta.
- La loro cultura? Sono una massa di Cowboy razzisti, scortesi e vanno in giro armati!
Era stressato. Doveva scrivere l'ultimo articolo della sua carriera su quella rivista, "scoop night" per poter passar finalmente al giornale nazionale, ma non aveva proprio idee. Quindi, tequila in una mano, e telefono nell'altra, iniziò a comporre un numero. Nel mentre, si guardò allo specchio. Quarant'anni portati malissimo, rughe scavate, occhi marroni anonimi e capelli neri, pochi e corti, tutto accompagnato da 195 centimetri di altezza per cento chili, la maggior parte causati dalle bevute notturne.
- Pronto? Jerry? Sono Richard. Ascolta non voglio scrivere bene del Texas, che mi rappresenta? É un posto di merda, persino il cado che fa qui puzza di merda.
una voce rauca rispose in modo pacato.
-Richard, dobbiamo farlo. Anzi devi. Questa sera sulla 42esima di El Pas, ci sarà un combattimento quasi clandestino. Farai un reportage.
ed il telefono divenne muto, senza dare il tempo di chiedere il significato di quasi.
Marcello Mariano
ho passato dieci ore in macchina, dieci ore cullato dall'aria condizionata, senza trovare traffico.
Adoro la città, adoro questo stato, adoro loro cultura. Il Texas. Un posto magnifico, dove poter girare con l'Hummer senza aver paura di bloccarsi dentro vicoli stretti, dove la gente é cordiale ed amabile....
-No!
Tuonò Richard, guardando Jack, il suo Bagle, mentre stracciava la carta.
- La loro cultura? Sono una massa di Cowboy razzisti, scortesi e vanno in giro armati!
Era stressato. Doveva scrivere l'ultimo articolo della sua carriera su quella rivista, "scoop night" per poter passar finalmente al giornale nazionale, ma non aveva proprio idee. Quindi, tequila in una mano, e telefono nell'altra, iniziò a comporre un numero. Nel mentre, si guardò allo specchio. Quarant'anni portati malissimo, rughe scavate, occhi marroni anonimi e capelli neri, pochi e corti, tutto accompagnato da 195 centimetri di altezza per cento chili, la maggior parte causati dalle bevute notturne.
- Pronto? Jerry? Sono Richard. Ascolta non voglio scrivere bene del Texas, che mi rappresenta? É un posto di merda, persino il cado che fa qui puzza di merda.
una voce rauca rispose in modo pacato.
-Richard, dobbiamo farlo. Anzi devi. Questa sera sulla 42esima di El Pas, ci sarà un combattimento quasi clandestino. Farai un reportage.
ed il telefono divenne muto, senza dare il tempo di chiedere il significato di quasi.
Marcello Mariano
giovedì 20 giugno 2013
Chi vince in amore?
Io credo che in amore vinca chi non ha paura di amare; chi nonostante sappia cosa potrebbe accadere e nonostante abbia già sofferto, non smette mai di provarci; chi in silenzio continua ad amare anche dopo un rifiuto; chi non acceta la sconfitta e ama con tutto se stesso; chi è convinto che amare è qualcosa di più importante si essere amato.
-Carlo Bisecco
-Carlo Bisecco
mercoledì 19 giugno 2013
domenica 16 giugno 2013
Onorare la memoria
Bisogna sempre onorare la memoria delle persone, anche e soprattuttovquando non ci sono più.
sabato 15 giugno 2013
giovedì 13 giugno 2013
mercoledì 12 giugno 2013
Il piccolo minatore
IL PICCOLO
MINATORE
Tra la
polvere
Scavano lente
Nella miniera
Fredda e
buia,
nasce
tristezza
dai cupi
canti
d’un
ragazzino,
il minatore,
maturato
già,
il fumo
copre
la
sensazione di fame ma la
solitudine
resta dolente,
nell’aria
brucia
la fiamma d’una
candela sola
danzante
sotto
sottile
vento
impregnato
di
viva
povertà,
tra le
pietre va,
s’incanala
lì,
in galleria
dove scava
lo
sfruttato
pupo
che stanco
cessa
di vivere la
vita, l’incubo
d’una
nottata.
Carlo
Bisecco, Poesia contro lo sfruttamento minorile
(ho preso
spunto dalla novella Rosso Malpelo di G. Verga)
lunedì 10 giugno 2013
Una
volta ero una persona diversa, ero davvero me stesso e ciò mi portava ad
avere pochi amici. Poi decisi di cambiare, non so il perchè, così mi
ritrovai in un gruppo più grande con cui si usciva i pomeriggi, si
facevano tante cavolate come suonare i campanelli e scappare. Un giorno
poi cambiò tutto, loro erano cambiati, ma io ero rimasto ciò che ormai
ero diventato, così rimasi fuori dal gruppo.
Quasi quotidianamente mi sento solo, non ho più amici con cui uscire,
andare a vedere un film o fare stupidaggini, quando ero me stesso non mi
sentivo mai solo, ora invece è diventata una sensazione cronica che non
riesco a curare, forse vorrei solo a tornare quello di una volta, con
quei pochi amici, ma buoni, quello che non si sentiva mai solo anche
quando lo era...
sabato 8 giugno 2013
Amare con tutto il corpo
Io non credo alle persone che dicono “Un po’ la amo”. Come
si fa ad amare “un po’”?
Quando si ama o si ama o non si ama, non è possibile amare “un
po’”!
Se si ama una persona la si ama con tutto se stesso, la si
ama con tutto il corpo, non solo con il cuore, la si ama anche con la testa con
cui si decide ogni giorno di amare quella persona, la si ama con gli occhi che
brillano al solo pensiero della persona che si ama, la si ama con le mani che
scorrono veloci tra i capelli e delicate sfiorano il collo per accarezzare poi
la dolcezza sulle labbra, la si ama con i piedi che si intrecciano come catene
sotto le coperte, la si ama con lo stomaco che va in subbuglio al solo sentire
il suo nome, la si ama con il cuore che con lei smette di battere per avere un
continuo tremito, la si ama con l’anima che si fonde con la sua in un abbraccio
indissolubile, che va oltre il tempo, oltre i litigi, addirittura oltre la
morte, ma solo se la si ama davvero, solo se la si ama con tutto il corpo.
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