Ci sarà davvero un paradiso dopo questo inferno?
Quando
i soldati sono venuti a prenderci a casa, ordinando a mamma di
preparare la valigia, pensavo che tutto questo fosse un gioco, o meglio,
credevo che saremmo partiti per una vacanza che sarebbe rimasta
indimenticabile.
Scendendo le scale scortati dai funzionari delle SS
ho visto anche Davide, il mio amico che abitava nell'appartamento sotto
al nostro, e allora ero ancora più felice perchè sapevo che non mi sarei
annoiato insieme a lui.
Ci hanno portati alla stazione e ci hanno
fatti entrare in alcuni vagoni per il trasporto animali dove eravamo
ammassati in una maniera terribile, in condizioni che non vengono
riservate neanche alle peggiori bestie, ma tuttavia, con lo sguardo
ottimista e fantasioso di un bambino di otto anni, pensavo che anche
quello facesse parte dell'avventura che stavamo intraprendendo. Non
potevo immaginare che da un momento all'altro la cruda realtà sarebbe
venuta a bussare alla porta della mia giovinezza per portarmi in un
mondo di orrore, di dolore, di straziante esistenza; esistenza, perchè
non si sarebbe potuto definire "vita" quel terribile periodo.
Dopo
due giorni di viaggio siamo arrivati in un luogo dalle temperature
impossibili, che sicuramente rasentavano lo zero come sottolineato dalla
presenza della neve.
Ci fermammo davanti ad un grande cancello su
cui campeggiava una grande scritta a lettere cubitali: "HARBEIT MACHT
FREI", il lavoro rende liberi.
Superato quel muro di cinta che
separava la normale vita da un inferno sulla Terra, il cancello venne
richiuso dietro di noi, le Gestapo ci suddivisero in gruppi e fummo
portati in delle costruzioni così misere, pericolanti, che sembravano
delle capanne primitive, forse il primo abbozzo di un villaggio, il
primo segno di una civiltà, una civiltà che nello stesso luogo era
destinata ad essere annientata.
Anche noi più piccoli non ci
impiegammo molto a percepire l'ostilità di quel luogo e fui quindi
costretto a ricredermi sulla fantastica vacanza che in quel momento si
trasormava invece in un terribile incubo.
Ci diedero delle divise
luride, maleodoranti, consunte e sicuramente non sufficientemente
pesanti per proteggerci da quell'inverno così tagliente.
Ci misero a lavorare, noi bambini compresi.
Dovevamo
lavorare e non potevamo neanche scambiare una parola, non potevamo
neanche liberare una innocua risata in quella terra di desolazione.
Ogni
tanto nelle capanne venivano dei funzionari tedesche che prendevano
alcune persone e le portavano in una capanna più grande e più lontana
dalle altre a cui non ci era permesso avvicinarci.
Papà è stato uno
dei primi ad essere portato lì e a non tornare, come è successo poi
anche con mamma ed Ester, la mia sorella maggiore.
Nessuno sapeva che
fine facessero tutte quelle persone, o almeno nessuno ce lo diceva,
nessuno rispondeva alla mia unica domanda: "Dove è la mia famiglia?".
I
giorni sono passati tutti monotonamente, tante ore al lavoro con il
freddo che si posava su di noi e che faceva addormentare molte persone
senza che si risvegliassero più.
Ogni tanto arrivavano nuovi treni
con altre persone, tutti Ebrei, e nello stesso giorno scomparivano come
era scomparsa la mia famiglia tanto Ebrei quanti ne erano arrivati.
Non
è passato giorno in cui non abbia pensato a dove potessero essere
andati tutti coloro che erano scomparsi, cosa succedesse in quella
grande capanna sul cui tetto si arrampicava un uomo con un camice bianco
ed un barattolo di cui versava il contenuto attraverso una piccola
apertura che richiudeva velocemente dopo averlo svuotato.
Da quella
porta passavano persone in piedi ed uscivano grandi sacchi pieni di
chissà cosa che venivano poi gettati in una grande buca.
Ho provato
ad entrare ma un soldato mi ha bloccato, mi ha stretto il braccio, ha
letto il numero che mi hanno inciso sul braccio sinistro quando siamo
arrivati, ha controllato un foglio di carta e ha detto che non dovevo
essere lì, dovevo tornare subito a lavorare.
Per punizione mi diede un calcio nello stomaco con quegli stivaloni neri in cuoio dalla punta dura.
Mi
accasciai a terra ma capii il mio errore, così tornai a lavorare e non
provai più a scoprire cosa avvenisse in quella baracca.
Una notte mentre dormivamo fummo tutti svegliati da un gran fracasso, urla e spari.
Deve
esserci stato uno scontro, una battaglia. Io volevo andare a vedere, mi
sono sempre piaciute le guerre, ma Elena, una donna che dorme a qualche
letto dal mio, me lo ha impedito.
Era la mattina del 27 gennaio 1945, il giorno della Liberazione.
Un
soldato con una divisa molto diversa da quella dei tedeschi sfondò la
porta della nostra capanna e ci fece uscire urlando con accento
sovietico che eravamo liberi.
Uscii di corsa e mi ritrovai in una
grande massa di Ebrei che si accalcava al cancello per cercare di uscire
da quella prigione a cielo aperto, ma io non volevo andarmene, non
senza la mia famiglia.
Riuscii ad uscire da quella folla e presi a
correre in direzione della grande baracca dove le persone entravano ma
uscivano solo sacchi pesanti.
Appena entrato in quel posto
misterioso, un soldato sovietico che aveva appena chiuso una porta
interna mi chiese cosa stessi facendo lì, così scoppiai a piangere e
iniziai a singhiozzare che cercavo la mia famiglia che era stata portata
lì dentro ma non era mai tornata.
Si avvicinò a me, io cercai di
proteggermi pronto a chissà quale violenza, ma lui semplicemente mi
prese in braccio e mi strinse a sè senza dire niente, senza preoccuparsi
delle mie lacrime che bagnavano la sua divisa perfettamente in ordine.
Quel soldato mi portò a casa sua e mi disse che da quel momento sarebbero stati loro la mia famiglia.
Qualche
anno dopo mi hanno raccontanto tutta la verità, mi hanno spiegato cosa
succedeva in quella baracca da cui uscivano tutti quei sacchi, e mi
hanno anche detto cos'era che veniva versato da quel signore con il
camice attraverso quell'apertura sul tetto.
Ormai sono passati tanti
anni, quel bambino di otto anni è rimasto in quella prigione gelata, io
sono un uomo diverso, eppure porto ancora i segni della mia vera
identità, come questo codice tatuato sull'avambraccio sinistro.
Quel
che è successo non si può cancellare, ma bisogna anzi fare di tutto
perchè non si ripeta mai più nei secoli a venire una strage simile.
Tutti
gli anni, il 27 gennaio, torno in quella mia prigione, mi avvicino alla
capanna più lontana e resto lì davanti all'entrata per ore, in
silenzio. E piango.
Mi chiedo se ci sarà un paradiso dopo
quest'inferno vissuto qui durante la vita, mi chiedo se queste lacrime
calde riusciranno a cancellare la neve che ricopre questo terreno di
morte.
Resto in piedi per ore.
In silenzio.
E piango.
Naufrago in quel maledetto mare di pensieri.
Sono disperso in pensieri infiniti, infiniti come quella distesa di mare in cui sono naufragato.
lunedì 27 gennaio 2014
mercoledì 22 gennaio 2014
martedì 14 gennaio 2014
Io non
lo so il perchè, ma ad un certo punto le persone per me più importanti
le perdo. Arrivo all'apice di un'amicizia e poi sprofondo in un burrone.
Mi è capitato tante volte, troppe. Ormai spero che non mi accada più,
anche se per impedire queste delusioni bisogna forse legare di meno la
propria esistenza a qualcun'altro.
La
notte è magica, la ami e la odi nello stesso momento. I pensieri che ti
verranno di notte, le idee che nasceranno nel buio cinto dal silenzio,
neanche puoi sperare di riscoprirle di giorno. Quegli attimi, quelle
sensazioni, quei sentimenti appartengono al buio e possono essere
custoditi solo dalla pallida Luna. E' di notte che vengono in mente le
azioni più follie, che si manifestano le passioni più sfrenate.
E' nel
silenzio della notte che il cuore innamorato urla il suo amore.
domenica 12 gennaio 2014
Caro me,
Non so quando sarà il giorno in cui leggerai questa lettera, forse domani, forse tra dieci anni.
Non importa, tu la leggerai quando ne avrai bisogno.
La leggerai quando inizierai a non credere più nell’amore, o per lo meno nell’amore eterno, lo stesso in cui credevi quando veniva raccontato nelle tue fiabe preferite.
Chissà se scorrendo tra queste righe i tuoi occhi rivedranno le immagini di questa fredda sera sulle note della Traviata di Verdi.
Chissà se mentre le tue mani accarezzeranno la filigrana di questo foglio, tu ricorderai i sogni che giorno dopo giorno scrivevi con un indelebile inchiostro sul tuo cuore.
Chissà se sentirai un leggero profumo di boccioli di rose, come quello che si sente nell’aria prima dell’arrivo del primo freddo, quello che ti ha fatto innamorare di quella ragazza.
Forse se stai leggendo questa lettera è perché l’amore avrà perso per te quel tocco magico che ha sempre avuto, avrai forse subito una delusione così forte da portarti a non credere più in questo sentimento così maestoso, ed è proprio per questo che ti scrivo dal passato.
Ti scrivo per provare a convincerti del contrario, ossia che l’amore esiste, e che l’amore eterno non è solo quello delle favole, ma è presente nella vita di ogni giorno.
Forse non ricorderai i sentimenti che stavi provando mentre ti scrivo questa lettera, ma io te li posso riassumere, perché sappi che sono i migliori che esistano in questa vita.
L’amore ti ha tenuto a lungo sulle spine in uno stato di confusione in cui non capivi cosa ti stesse accadendo, ma poi un giorno una tua amica te lo ha spiegato, finalmente ti eri innamorato, e non come tutte le altre volte, quella volta era diverso, era un amore più vero, più profondo, più sincero.
Quella volta era un amore che ti faceva sentire vero come non mai, con un cuore che a stento si tratteneva dietro le costole per non uscire palpitante. Quella volta che ti faceva brillare davvero gli occhi, con luce nuova, scintillio mai così puro. Le tue mani mai hanno sudato così tanto e mai sono state sfregate in tal maniera tra di esse come in una strana danza di gioia.
Mai avresti creduto di essere così paziente, di poter aspettare così tanto per qualcosa che sembrava non arrivare mai, che pareva essere l’ennesima delusione d’amore, l’ennesimo amore non corrisposto.
Il dubbio ti ha divorato in quel periodo, non lo nego, ma proprio quel senso di mistero accresceva il tuo amore, le tue sensazioni, la tua voglia di lei, il tuo irrefrenabile desiderio di amare come non mai.
Chissà se ora magari starai iniziando a ricordare, chissà se ora leggendo queste righe ti sta spuntando un tenero sorriso o ti sta scendendo una lacrima calda direttamente dal cuore lacerato dal dolore.
Ma di una cosa sono certo, almeno un po’ ti avrò riportato a credere nell’amore, anche perché è impossibile che tu lo abbia iniziato a disprezzare, tu hai sempre amato l’amore e lo amerai sempre.
Tu hai sempre amato amare e continuerai a farlo, perché è la cosa più giusta da fare.
Non so quando sarà il giorno in cui leggerai questa lettera, forse domani, forse tra dieci anni.
Non importa, tu la leggerai quando ne avrai bisogno.
La leggerai quando inizierai a non credere più nell’amore, o per lo meno nell’amore eterno, lo stesso in cui credevi quando veniva raccontato nelle tue fiabe preferite.
Chissà se scorrendo tra queste righe i tuoi occhi rivedranno le immagini di questa fredda sera sulle note della Traviata di Verdi.
Chissà se mentre le tue mani accarezzeranno la filigrana di questo foglio, tu ricorderai i sogni che giorno dopo giorno scrivevi con un indelebile inchiostro sul tuo cuore.
Chissà se sentirai un leggero profumo di boccioli di rose, come quello che si sente nell’aria prima dell’arrivo del primo freddo, quello che ti ha fatto innamorare di quella ragazza.
Forse se stai leggendo questa lettera è perché l’amore avrà perso per te quel tocco magico che ha sempre avuto, avrai forse subito una delusione così forte da portarti a non credere più in questo sentimento così maestoso, ed è proprio per questo che ti scrivo dal passato.
Ti scrivo per provare a convincerti del contrario, ossia che l’amore esiste, e che l’amore eterno non è solo quello delle favole, ma è presente nella vita di ogni giorno.
Forse non ricorderai i sentimenti che stavi provando mentre ti scrivo questa lettera, ma io te li posso riassumere, perché sappi che sono i migliori che esistano in questa vita.
L’amore ti ha tenuto a lungo sulle spine in uno stato di confusione in cui non capivi cosa ti stesse accadendo, ma poi un giorno una tua amica te lo ha spiegato, finalmente ti eri innamorato, e non come tutte le altre volte, quella volta era diverso, era un amore più vero, più profondo, più sincero.
Quella volta era un amore che ti faceva sentire vero come non mai, con un cuore che a stento si tratteneva dietro le costole per non uscire palpitante. Quella volta che ti faceva brillare davvero gli occhi, con luce nuova, scintillio mai così puro. Le tue mani mai hanno sudato così tanto e mai sono state sfregate in tal maniera tra di esse come in una strana danza di gioia.
Mai avresti creduto di essere così paziente, di poter aspettare così tanto per qualcosa che sembrava non arrivare mai, che pareva essere l’ennesima delusione d’amore, l’ennesimo amore non corrisposto.
Il dubbio ti ha divorato in quel periodo, non lo nego, ma proprio quel senso di mistero accresceva il tuo amore, le tue sensazioni, la tua voglia di lei, il tuo irrefrenabile desiderio di amare come non mai.
Chissà se ora magari starai iniziando a ricordare, chissà se ora leggendo queste righe ti sta spuntando un tenero sorriso o ti sta scendendo una lacrima calda direttamente dal cuore lacerato dal dolore.
Ma di una cosa sono certo, almeno un po’ ti avrò riportato a credere nell’amore, anche perché è impossibile che tu lo abbia iniziato a disprezzare, tu hai sempre amato l’amore e lo amerai sempre.
Tu hai sempre amato amare e continuerai a farlo, perché è la cosa più giusta da fare.
Per
questo 2014 mi sono prefissato di essere ottimista, estremamente
ottimista. Per me sarà molto difficile anche perchè sono sempre stato un
ragazzo piuttosto pessimista, ma ora basta, credo che prendere la vita
con il sorriso, provare sempre una nuova sorpresa e un nuovo stupore
davanti ad un'alba o ad un tramonto, siano qualcosa che migliorano la
vita. In qualche modo penso che se si prende la vita
col sorriso, allora anche la vita magari ci sorriderà. Sarà davvero
così? Non lo so, ma in fondo queste sono le stesse domande che si
ponevano anche i filosofi di duemila anni fa: cos'è la felicità? come si
può raggiungerla? Io non ho le risposte a questi quesiti, ma forse
iniziare a pensare un po' più positivamente e vivendo la vita attimo per
attimo sempre con nuova sorpresa è la strada giusta per raggiungere la
serenità
Rapporti che sembrano morire ma che non muoiono mai
Ci sono rapporti simili ad una fune che sta per strapparsi, cedendo
alle lacerazioni del tempo, e che fa conoscere la vera paura all’anima
che vi è legata, ma che non si stacca mai.
C’è sempre
un ultimo filo che mantiene, sembra così debole e pronto a cedere, ma
alla fine non cede mai, riesce a salvare ogni anima che già stava
pensando al dirupo sotto di sé in cui sarebbe precipitata rovinosamente,
se non ci fosse stato quell’unico fragilissimo filo.
Ci sono amicizie che sembrano essere sul punto di finire, corde che vorresti stracciare, persone a cui vorresti dire addio per sempre, ma non ce la fai, non riesci ad abbandonarle quelle persone, non ci riesci proprio neanche ora che lo vorresti davvero.
Forse
tu non ci riuscirai mai a lasciare da sola una persona, nonostante
tutto il male che possa averti fatto, perché in fondo sei fatto così,
hai vissuto tante volte sulla tua pelle l’abbandono, e sai quanto dolore
si possa provare.
Eppure ad un certo punto ti metterai
in testa “Basta, adesso non le do più la minima importanza, la
ignorerò. Era la mia migliore amica, ora non è più niente”. Questa frase la ripeterai migliaia di volte, la urlerai nella tua testa nella speranza di trasmetterla anche al cuore, ma la via della mente è separata dalla via del cuore.
Pensi
sempre che l’altra persona magari stia soffrendo di già e tu magari
vorresti esserle utile, così ancora non te ne vai, e resti sempre
attaccato ad una fune che sta per cedere, ma il cui ultimo filamento
sembra non voler mollare, e allora non mollerai neanche tu.
Naufrago in quel maledetto mare di pensieri.
Una
cosa che davvero mi lascia deluso è vedere alcune persone che hanno
sempre difeso il proprio essere se stesse, diventare come tutti gli
altri, omologarsi alla folla e magari anche criticando le persone simili
a come erano loro prima. Perchè in questo mondo nessuno vuole essere se
stesso? O meglio, perchè tutti vogliono essere se stessi ma nessuno ci
prova? Si può davvero dire di vivere la propria vita, se è una vita
bloccata dalle mode e dall'importanza dell'apparire?
Ci
sono sentimenti che nascono senza preavviso e che - per così dire -
restano per un certo tempo in un stato latente. A volte siamo noi stessi
che cerchiamo di placarli, nasconderli a noi stessi perchè spaventati
da nuove emozioni, ma a lungo andare riemergeranno con una forza
incontrollabile e ci renderanno prigionieri delle nostre stesse
sensazioni.
Io
non lo so il perchè, ma ad un certo punto le persone per me più
importanti le perdo. Arrivo all'apice di un'amicizia e poi sprofondo in
un burrone. Mi è capitato tante volte, troppe. Ormai spero che non mi
accada più, anche se per impedire queste delusioni bisogna forse legare
di meno la propria esistenza a qualcun'altro.
Arriva un certo momento nella vita di tutti in
cui si inizia a provare sulla propria pelle la realtà della frase
"L'amore brucia come un fuoco ardente". L'amore, come il fuoco, ti
scalda ed è simbolo di forza, di vita. Ma il fuoco è anche distruzione, e
tutto sommato anche l'amore è un po' distruzione, scombussola il tuo
mondo e cancella ciò che eri prima. L'amore è rinascita.
venerdì 10 gennaio 2014
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